Di noi tre by Andrea de Carlo
autore:Andrea de Carlo [Carlo, Andrea De]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-02-01T11:15:23+00:00
A Milano il flautista che aveva in affitto il mio appartamento-corridoio non ha mostrato nessuna intenzione di ridarmelo, e dal primo giorno che siamo andati a stare da mia madre lei e Flor hanno sviluppato sintomi di forte insofferenza reciproca. Mia madre tendeva a fare continue osservazioni sul mio modo di vestirmi e sul mio stato di magrezza e sulla indistricabilità dei miei capelli come se fosse una responsabilità di Flor; cercava di rimettermi in sesto con regali di golf e camicie da bravo ragazzo e guanti e pantofole imbottite e preparazioni senza sosta di cibi ingrassanti e fortificanti. Flor da parte sua non perdeva una sola occasione di beccare mia madre sul riscaldamento esagerato e sul rumore che entrava dalle finestre e sulla quantità di carne e sale e grassi e zucchero che metteva nel cibo e sull'antipatia del portinaio e in genere sulla totale innaturalezza della vita a casa sua. Io stavo tra loro in un atteggiamento assurdo di neutralità, senza mai prendere posizione a favore di una o dell'altra: facevo finta che i loro scontri continui non mi riguardassero, e questo aveva l'effetto di esasperarle tutte e due, provocarmi attacchi e accuse e rinfacciamenti a ogni chiusura di porta.
Con mia nonna la situazione era un po' migliore, perché Flor non le era antipatica e le dava occasione di esercitarsi con lo spagnolo; ma non ho neanche provato a chiederle se potevamo stare a casa sua, sapevo che era troppo gelosa della sua autonomia. Mi stava addosso anche lei, d'altra parte: diceva «Ti vedo spento, Livio»; diceva «Non ti ha fatto bene rinchiuderti così fuori dal mondo»; diceva «L'isolamento uccide».
Così stavamo a casa di mia madre, dove già mi ero intristito e depresso in modo spaventoso da ragazzo, nella mia exstanza con gli scaffali coperti dai vasetti e le ciotoline d'argento che mia madre si era messa a collezionare, e Flor era indignata tutto il tempo per come lasciavo che la nostra vita venisse invasa e i nostri modi di essere commentati e giudicati di continuo, e tutto questo invece di farmi venire voglia di muovermi mi invischiava in una colla di dispiacere e noia e nostalgia e mancanza di ragioni fino a rendermi del tutto inerte. Non provavo neanche a dipingere, con la scusa che non avevo uno spazio dove farlo; dormivo fino a tardi, ciondolavo tutto il giorno tra le riviste di mia madre e la televisione, mi riempivo di disgusto rinnovato per il nostro paese. Flor a volte se ne infuriava e a volte si metteva a piangere, ma doveva rendersi conto di come la comunicazione tra noi si era ridotta a quasi nulla, lontano dai ritmi chiusi della nostra isola fuori dal mondo; e anche lei non era certo un modello di reattività positiva, tutto quello che faceva era mescolare intrugli in cucina appena mia madre era fuori, o trafficare con carta e pennelli in uno dei suoi tentativi semi-surrealisti. Il fatto di non essere riuscito a lasciarla a Minorca mi dava una specie
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